PROSA

TESI
LA BAMBINA DAI CAPELLI ROSSI CALURA
L'AMNESIA
SEGUENDO LA SCOMPOSTA ONDA DEL PENSIERO
A QUALSIASI COSTO
LA MELA TAGLIATA A META’
DEDICATO

POESIE

 

 

L’AMNESIA

 Non poteva essere stato altro che qualcosa  di banale pensò, in un primo momento, guardandosi attorno con aria perplessa.
 Eppure se era entrata in quella stanza e non in un’altra, era stato per fare qualcosa di univoco.
 Diversamente, niente giustificava la sua presenza lì dopo aver interrotto ciò che  precedentemente stava facendo o, tutt’al più, era nell’atto di fare.
 Ma pur cercando con puntiglio nella sua mente svuotata il bandolo, non riusciva  a scorgere un minimo indizio al quale potersi appellare per  ricostruire il disegno mentale.
 Ma senz’altro, in tutta quella confusione che stava creando attorno a quel nulla che paradossalmente l’aveva prodotta, sarebbe passato una folgore. Così. Senza nessun preavviso. E avrebbe  alfine chiarito l’immagine di ciò che in questo preciso istante era il buco nero,cioè il soggetto di quella improvvisa amnesia.
 La cosa buffa però ( bisognava pur essere spiritosi in simili occasioni. Se ci si riusciva, ben s’intende ! ), era che, pur pensandoci intensamente ( com’era possibile pensare ad altra cosa in questo contesto, non lo so ) , non riusciva  neppure a ricordare ciò che aveva tralasciato di fare.
 A questo punto del ragionamento,scosse il capo lentamente alcune volte emettendo nel  medesimo istante un soffio appena percettibile, dal naso, mentre gli angoli della bocca le s’ increspavano  in un accenno di sorriso o di ghigno malizioso o di sufficienza che quasi rasentava l’alterigia.
 Nei confronti di nessun altro che di se stessa.
 In fin dei conti non era più così giovane da essere immune da vuoti di memoria inattesi ma neppure così vecchia da esserne vittima.
 Anche se nel suo caso specifico e senz’altro  anche in molti altri casi che potevano considerarsi eccezioni a conferma di regola,  lei era sempre stata soggetta ad amnesie; questo lo ricordava bene.
 Ci sarebbe stato quindi un po’ da ridire o puntualizzare o per lo meno mettere in dubbio detti popolare che, col trascorrere del tempo , erano diventati tesi inconfutabili.
 Chissà se proprio l’attimo di distrazione con cui qualcuno di noi  viene procreato, determina l’atteggiamento , il modo d’essere  che , così come ha preceduto  il divenire, sottolinea, segue ed accompagna l’esistere.
 Ma questa etichettatura, quasi a definire un “marchio di fabbrica”, non era diventata per lei, come in altre situazioni era successo,un vezzo da esibire.
 E questo proprio perché perdere, anche per pochi istanti il legame con la  propria mente ( legame che  in molti casi  finiva per essere nodo scorsoio, cappio, forca ), la spaventava  molto di più che essere presente a se stessa.
 Ma sapeva tuttavia che in certi momenti faticosi ed intricati la “ presenza” , più volte  e così intensamente invocasse  un’”assenza”.
 Ma certo non era  quello il luogo, il momento e lo spirito, adatti a questa riflessione anche perché, facendo qualche passo  a ritroso, si era ritrovata sulla soglia di quella stanza in modo tale da averne una panoramica più ampia. E questo proprio per cercare intorno, con l’accresciuto raggio visivo, un punto di riferimento, un connessione che potesse in qualche modo suggerirle la motivazione logica o non, della sua ricerca.
 Perché adesso, era ben convinta che si fosse spostata da dov’era prima a quel punto, per cercare qualcosa.
 Dunque quel qualcosa doveva per forza, trovarsi in quella stanza..
 Ora però al dubbio su ciò che stesse cercando, s’aggiungeva la perplessità su dove dovesse cominciare a cercare.
 Era meglio da lì, dove ora si trovava, oppure era preferibile o proficuo tornare indietro da dove era venuta, per trovare l’origine del suo essersi mossa per cercare ciò che ora, non ricordava più dovesse cercare?
 In sincerità oramai la pantomima cominciava a venirle a noia ed anzi, si stava tramutando in una questione di principio.
 E per lei il “principio” era fondamentale tant’è vero che , sin dall’esordio aveva cercato, senz’altro con scarso risultato - questo era vero! - il bandolo della matassa  che ora però si stava  sempre più aggrovigliando, visto che c’erano dei nodi ogni dove: uno sull’altro da celarne in capo. E se vogliamo anche la coda!
  Ma la coda aveva un’importanza irrilevante in questo caso o circostanza. In tutte le altre invece, poteva  essere fondamentale dal momento che, anche al buio, agguantata un’estremità, fosse pur questa la conclusiva, si poteva con relativa maneggevolezza, risalire a quella opposta, l’iniziale.
 C’era un bel po’ da divertirsi però, o da affannarsi , quasi al limite delle lagrime; sia per uno stato d’animo che per quello contrario, se il detentore di capo e coda ( un cane, ad esempio, o un gatto o un criceto o più semplicemente un primitivo lombrico, arcaico nella forma, ma proprio per questo ingannevole), fosse nel buiore, acciambellato su se stesso.
 Allora c’era proprio da perdersi; addirittura da rimanere sconcertati.
 In qualche caso disperato ( ma qui poteva sorgere un dubbio ), ci si poteva lasciar avvolgere dalla follia come in un manto riparatore.
  Ma lei, pensandoci bene , non era al buio. Ma la luce del giorno o della lampadina non serviva a nulla  se non la favoriva col semplice espediente della sua funzione. Perché non riusciva a far chiarezza nella sua memoria ? Forse perché la memoria  è una stanza  senza impianti elettrici o senza interruttori?
 Lo sapeva bene che non era vero.
 La verità ( relativa o assoluta) stava nel fatto che non si erano ancora formati in lei , occhi capaci di vedere dopo aver  premuto nella sua mente, l’interruttore di bachelite o di plastica. Appena  a sinistra di se stessa , all’altezza della spalla, o un po’ più in su o un mezzo palmo più sotto, a seconda dell’altezza, dovuta a scarpe con tacchi o non.
 O forse gli occhi c’erano. Ma purtroppo in quel momento erano annebbiati dal torpore. Oppure c’era entrato un bruscolino. O aveva indossato degli occhiali troppo scuri o, involontariamente aveva abbassato le palpebre non riuscendo a sostenere l’immagine propostasi.
 Per avere una risposta, una soluzione a quell’accavallarsi di dubbi, la cosa più semplice da farsi, era di riguardarsi un po’ attorno attentamente: magari poteva trovare qualche spunto, qualche informazione negli oggetti posati sui mobili, o dai quadri attaccati alle pareti o da una sottile ragnatela che aveva visto pendere nell’angolo opposto alla porta, di fianco alla finestra, qualche giorno prima.
 Così, forse per la prima volta da quando si era mossa  per andare in quella stanza, dalla posizione assunta, una spalla appoggiata allo stipite della porta, si guardò intorno con l’intenzione di vedere.
 Ma all’intorno, per quanto si sforzasse strizzando le palpebre, non vedeva più nulla: né un quadro, né un mobile, né tantomeno le pareti.
 L’intera immagine era occultata da un’immane grafia.
 In carattere gotico umanistico, le sembrava ….
 Quindi ebbe un po’ di difficoltà nel leggere e tradurne il significato.
 Anche perché, un po’ più in alto, a sinistra, pendeva ancora una sottile ma fantasiosa ragnatela che, oscillando ostinatamente ( forse per una corrente d’aria ) deformava , a tratti, l’immagine.
 Per aiutarsi nell’intento, cominciò a scandire a voce alta le lettere, ad una ad una e all’orecchio le arrivò, ben distinta, la parola FINE.