Era talmente densa l’intensità del sentimento che l’aveva attanagliata che non riusciva a capire se fosse o no direttamente proporzionale al tempo che aveva impiegato a formarsi.
In quel preciso istante non era certa infatti se si fosse manifestato lentamente, quando lei era ancora fuori casa oppure fosse montato come panna in un frullatore, quando aveva già chiusa la porta alle spalle.
E non riusciva neppure a ricordare cosa l’avesse provocato.
Certo doveva essere qualcosa di sottile, di impalpabile. Magari una semplice banalità.
Quasi sempre è quella che evoca le angosce più nascoste, così, all’improvviso, senza lasciare nessuna possibilità di difesa.
E anche l’esserne coscienti, non evita l’insorgere di pensieri che sfuggono alla più concreta razionalizzazione.
Ma lei, in fondo, non si tutelava da tutto ciò anche perché si ostinava a guardarsi intorno con occhio vigile. E era per accentuare questa sua caratteristica peculiare che, con atto formale, aveva messo quindi le lenti a contatto e non solo per superare la miopia fisica fin da quando buttava le gambe giù dal letto, al mattino.
Così. Quel suo continuo sgranare gli occhi mentre parlava con qualcuno od osservava qualcosa, dimostrava la sua determinazione a non lasciarsi sfuggire nulla di ciò che la circondava, si trattasse di persone, di cose o di situazioni.
Eppoi questa sua risolutezza non conteneva forse il desiderio o la volontà di imparare a difendersi dal “ nemico “ che stava al di là della barriera che erigeva ma che voleva in qualche modo abbattere?
Non contando infatti ( e da giovane età aveva scelto questa strada ) su nessun “padre” che potesse garantirle una benchè minima protezione, cercava nel suo modo d’essere, un’identità ben precisa se non da opporre, viste le barriere oggettive, da proporre. In alternativa a quelle ben conosciute e proprio per questo motivo, temute.
Ma certamente si rendeva ben conto delle difficoltà che potevano insorgere ad ogni istante anche se mai fino ad ora, era stata trascinata e coinvolta dal sentimento che pur tuttavia e inaspettatamente si era proposto ed impadronito di lei, in quel preciso momento.
E così, ancora appoggiata allo stipite dell’uscio, le spalle ben incollate ad esso, cominciò a guardarsi attorno sentendo una presenza nell’appartamento che da sempre aveva abitato da sola.
Ma subito dopo una fugace riflessione ricordò che aveva cominciato a percepire quella spiacevole sensazione già al volante della sua utilitaria se non addirittura quando stava ancora camminando per raggiungere il parcheggio.. Come se qualcuno avesse in quell’istante iniziato a seguirla o addirittura fosse lì ad attenderla.
Scrollò il capo, quasi a sottolineare l’improbabilità di una tale condizione: l’amore e l’odio rivolto ad un personaggio pubblico quale lei era, faceva parte del gioco e di partite ne aveva fatte oramai tante da renderla ben cosciente delle innumerevoli possibilità che non potevano però andare oltre alle regole sancite da … tutti?
A questa riflessione appena accennata, ebbe un trasalimento che la ributtò nuovamente nel concetto, che a viva forza, cercava di allontanare ma che, con sempre maggiore insistenza ed intensità, la attanagliava.
Le sembrava addirittura di aver fatto un balzo all’indietro nell’infanzia quando, per parecchi anni, si era trascinata come zavorra, la paura di voltare le spalle ad un luogo buio, dove l’ignoto poteva celare qualsiasi mostro che, proprio per l’impossibilità di una sua visualizzazione, diveniva terrificante.
Pur sorridendo a questa reviviscenza oramai da tempo superata e per questo motivo, caduta nell’oblio, cominciò ad accendere le luci delle poche stanze che componevano l’appartamento per combattere e vincere i fantasmi che si stavano beffando di lei e di cui, invece, si voleva beffare.
Pochi gli specchi che potessero riflettere le immagini mobili o gli scorci che via via mutavano a seconda della prospettiva ma molti i quadri e foto con vetro che rimandavano sul piano trasparente, immagini vaghe, specialmente la sera, le luci accese.
Ma se in altri momenti cercare nelle varie riflessioni, una doppia immagine, era diventato per lei un gioco, quasi una necessità per dilatare gli spazi del suo interno con situazioni sempre nuove e magari sovrapposte a quelle dell’interno stesso, in quel momento d’inquietudine, scorgeva presenze che la turbavano e che la facevano voltare di scatto per una conferma che puntualmente veniva negata.
E quello che la meravigliava non erano certo le smentite ma l’atteggiamento che stava assumendo di fronte a percezioni bizzarre che travisavano il concetto che aveva di sé e che gli altri si erano fatto di lei.
Per superare l’ansia che derivava dalla scoperta di una falla nella sua opinata interezza, per raggiungere la quale era da una vita che si batteva, rammentò la mole di lavoro che aveva dovuto districare negli ultimi mesi e che, sottoponendola a ritmi insostenibili, avrebbe di certo logorato il più solido e concreto e resistente degli esseri umani.
Ma neppure questa considerazione riuscì a placare quel malessere che, al contrario, stava crescendo a dismisura.
Cominciò così a vagare da una stanza all’altra aprendo cassetti e spalancando armadi. Finì per guardare addirittura dietro alle tende e sotto i mobili, ripetendo un rito che tanto tempo addietro compiva con sua madre che in questo modo cercava di porla di fronte alla realtà, allontanandola dalle fantasie negative che tanto la turbavano nell’infanzia.
E stava quasi per sorridere al riaffiorare di questo ingenuo e puerile atteggiamento, al quale tuttavia non riusciva ad opporre contrasto, che il rumore del legno di un vecchio armadio che stava nell’altra stanza, la fece trasalire mentre era ancora accucciata.
Se in altri momenti quello scricchiolio le sarebbe sembrato un richiamo della materia viva che tanto amava, ora aveva il potere di farle agghiacciare il filo della schiena.
A questo punto non riusciva più a capire se avesse più paura rimanere in quella stanza oppure abbandonarla per andare in quella dalla quale era provenuto il rumore.
Le era sembrato infatti alquanto diverso da quello familiare: non un richiamo per cercare un dialogo, ma un lamento, una messa in guardia.
Oramai esasperata, con un balzo per por fine al disagio, si affacciò all’uscio della camera da letto come a voler cogliere in fallo quel qualcuno che invece voleva avere su di lei, il sopravvento.
Ma nella camera non trovò nessuno anche se nel movimento appena compiuto, aveva scorto un’ombra riflessa nel vetro di uno dei quadri appesi al muro della stanza appena lasciata.
Così quel qualcuno o quel qualcosa si stava beffando di lei e ciò non faceva altro che accrescere il suo disagio e la sua sensazione d’impotenza.
Oramai nel silenzio della casa, sentiva soltanto il rimbombo del cuore che correva, totalmente impazzito e che improvvisamente si arrestò quando la pendola rintoccò la mezza notte.
Un rumore consueto che divenne bruscamente ostile e che l’obbligò ad avvicinare le mani alle orecchie, quasi a volerlo allontanare , non sapendo più come difendersene.
Ora il ticchettio che in altri momenti le faceva una piacevole compagnia sottolineando ogni azione col suo ritmo, stava diventando insostenibile e sembrava quasi rilevare ed accentuare la presenza avversa. Muovendosi a scatti e con la rabbia nata dal panico crescente, cominciò a correre da una stanza all’altra per anticipare l’offensiva che le veniva rivolta contro o addirittura, per spiazzare o confondere o creare un caos da opporre a quello della sua mente.
Poi ad un tratto, si arrestò, quasi si fosse scaricata una molla.
Un’idea.
Non capiva come non le fosse venuta a mente prima e non riusciva nemmeno a capire perché sino ad allora avesse mantenuto un atteggiamento passivo, mentre in ogni altra situazione, era stata ben altra la sua azione tattica.
Ad ogni avvenimento avverso che la vita ogni tanto le presentava, si rimboccava sempre le maniche e se riusciva a capire di non aver partita vinta, lottava comunque con tutte le forze finchè le restava fiato.
Non poteva fare allo stesso modo, anche ora?
Tirato un cassetto della credenza s i era appropriata con gesto sollecito di un coltello a cuneo che in altri momenti le serviva a spezzare formaggi stagionati.
L’impugnatura le infuse sicurezza, forse proprio perché il legno del manico si intiepidì al contatto della sua mano.
Sgranati gli occhi pronti all’offensiva, disegnò nell’aria un semicerchio col corpo irrigidito e si mosse a scovare l’origine di quel suo sentimento tanto subdolo.
Si muoveva lentamente, guardinga per non lasciarsi sfuggire nessun segnale, ma anzi cercando di anticiparlo con l’aggressività ritrovata e muovendo un passo dietro l’altro, roteava il capo a carpire un raggio visivo più ampio le fosse possibile, finchè scovò quello che cercava
Si era fermata di scatto di fronte all’unico specchio del bagno , dove ora si trovava e dove aveva ravvisato alle sue spalle ciò che fino ad allora le si era negato.
Si voltò rabbiosa e violenta con l’arma tagliente ben serrata in pugno e cominciò a colpire, a colpire a colpire … finchè le rimase forza.
Poi, appagata, si accasciò sul pavimento riversa nel suo sangue. |