PROSA

TESI
LA BAMBINA DAI CAPELLI ROSSI CALURA
L'AMNESIA
SEGUENDO LA SCOMPOSTA ONDA DEL PENSIERO
A QUALSIASI COSTO
LA MELA TAGLIATA A META’
DEDICATO

POESIE

 

 

CALURA

 Stanca. Stanca e accaldata.
 Aveva finito di riordinare la libreria dopo parecchie ore  di sali-scendi dalla scala e si era buttata come uno straccio fradicio sul divano dello studio a contemplare l’operazione portata a termine.
 Era soddisfatta. Ma pur tuttavia stanca. Stanca e accaldata.
 Braccia e gambe le pesavano come fossero di qualcun altro che, contro la sua volontà, si facessero trascinare a peso morto. Per questo le lasciava abbandonate affinchè si staccassero dal corpo in modo tale da non percepirne più il disagio che ne derivava.
 E in questo abbandono aveva la vaga impressione che il suo corpo si allontanasse sempre più da dove l’aveva adagiato, fino a sentirlo addirittura distante, molto distante da quella stanza.
 Questa sensazione negativa fortunatamente mutava tutte le volte che alle narici saliva il caldo odore del suo sudore, rassicurandola sulla presenza.
 Infatti il suo corpo non poteva che essere lì, abbandonato nella stanchezza sul divano di fronte alla libreria che da poco aveva finito di riordinare, nella solitudine di quella domenica estiva.
  Era rimasta solo lei in quella casa, in quel rione, in quella città o così le era sembrato quando,per scrollare la polvere dallo straccio, si era sporta dalla finestra ricavandone un’immagine di desolazione incredibile.
 Pur tuttavia, in quell’atmosfera si era sentita padrona e signora incontrastata. Ma non del suo corpo rubatole dalla stanchezza.
 Lei però sapeva bene come riappropriarsene; facendo un ultimo sforzo si sarebbe alzata e sarebbe andata nel bagno ad aprire il rubinetto dell’acqua per riempire la vasca.
 Sì. Una bella vasca colma sino all’orlo di acqua tiepida e bagnoschiuma profumato.
 E lei dentro.
 Fuori solo la testa.
 Ma in un primo momento, anche le braccia: sarebbero servite da sostegno al libro che stava leggendo e nel quale si sarebbe tuffata anima e … qualche le rimaneva del corpo.
 L’acqua scendeva e nel silenzio, quel rumore confermava una presenza. Un gorgoglio ripetitivo e rassicurante, quasi un richiamo.
 Si stava formando già sulla superficie dell’acqua uno strato discontinuo ancora evanescente, quando cominciò a togliersi i pochi indumenti che le stavano appiccicati addosso, dandole la fastidiosa sensazione di un vincolo dal quale non riusciva facilmente a sottrarsi.
 La crescente rabbia dei gesti scovò la presenza inaspettata di un’energia che esplose : scagliò a terra le vesti che le infondevano uno stato repressivo.
 Spazzolò alfine, i capelli all’indietro per poterli raccogliere a coda.Li attorcigliò più e più volte, fermandoli al sommo del capo , con forcine d’osso.
 Nel passare la manopola di spugna sul viso, per togliere il sudore che l’imperlava, si era creata una maschera non voluta ma alquanto appropriata: due nere conchiglie di rimmel sotto agli occhi che esaltavano, evidenziandola, la stanchezza.
 Distolse lo sguardo appannato dallo specchio e voltatasi di mezzo giro, osservò, seppur nell’incerto, la superficie mobile e bianca, dai piccoli avvallamenti e le minuscole montagne di schiuma, che oramai sfiorava i bordi.
 Serrò le manopole dei rubinetti e scavalcò la barriera, che da ultima, la divideva dall’immersione.
 Si sedette lentamente per assaporare a fondo il piacere che le veniva da quel contatto progressivo ma anche per evitare di far trasbordare l’acqua dalla vasca, tant’era colma.
 Prima di rivolgersi alla lettura del libro che teneva nella mano sospesa, si fermò per un istante a guardare emergere nell’inspirazione, le coppe lucide del seno per poi rivederle scomparire nell’emissione del fiato..
 Il non poter tuffare in quella superficie compatta, densa ed opaca lo sguardo, la fece sentire per un attimo a disagio.
 Si staccò immediatamente da quella sensazione aprendo il libro al punto in cui, la sera prima, l’aveva chiuso, cominciando a leggere.
 Oramai le ultime energie, semmai ne fossero rimaste, si sarebbero concentrate al cervello e si sarebbe sentita allora svuotata completamente.
 Ben conosceva quel meccanismo.
 Sarebbe rimasta  vigile solo la sua mente.
  Poi, il silenzio che entrava dalla finestra semiaperta fu interrotto dal tonfo, attutito dalla pedana, che segnò la caduta del libro sul pavimento.
 Sino a quell’istante le erano  rimaste asciutte soltanto le mani e le braccia, fin sotto i gomiti.
 Le lasciò ora immergersi, osservando per un attimo la superficie aprirsi e, subito dopo  chiudersi sopra di esse.
 Così abbandonate lungo i fianchi, ora galleggiavano nella cadenza del respiro.
 Lo aveva intuito da piccole vibrazioni della schiuma. Solo da quello.
 Si era poi allungata nella vasca, tanto da sentire lambire il mento e la nuca, dove i capelli si sarebbero per forza, bagnati.
 Altre volte, portava quel rito ad estremi piacevoli, ma oggi non ne aveva voglia.
 Evitava così d’immergere completamente il capo nell’acqua fino a sentirla sfiorare la fronte e gli occhi che teneva chiusi come chiusa teneva la bocca, respirando attraverso il naso, inconsueto periscopio e unico aggancio con l’esterno.
 Osservava invece quella massa spugnosa  attraverso piccole fenditure degli occhi che oramai erano vicini alla cecità.
 Il pensiero, il concetto, la memoria erano sul punto di abbandonarla.
  Abbandonavano il suo corpo immerso nell’acqua della vasca.
 Era cosciente di ciò.Cosciente e consenziente.
 Ma c’era qualcosa in lei che si ribellava, come mai altre volte.
 Gli occhi, chiusi per un attimo, si riaprirono a fessura cercando di mettere a fuoco l’immagine da poco evocata e non ancora dimenticata.
 Il pensiero.
 Si faceva strada.
 Ritornava da lontano, dove aveva tentato di relegarlo.
 Se riaffiorava, si sarebbe trasformato in dubbio.
 Cercò con una fiaccata energia di porvi resistenza ma oramai rimbombava come un’ossessione nel cranio svuotato e leggero, non scuotendola però dal pesante torpore. Come inebetita guardava la superficie statica e compatta che si proponeva ai suoi occhi oramai spalancati e presenti.
  Ma lì sotto, c’era ancora il suo corpo? Quante le volte che aveva fantasticato di dissolversi nell’acqua? Infinite. Tanto da pensare ad un affioramento di un’esperienza già vissuta, di una realtà memorizzata.
 Non tollerando più il dubbio cercò di superarlo sollevando o credendo di sollevare la gamba destra sommersa e, divaricando il più possibile l’alluce dalle restanti dita ( o dal concetto di esse, azzardò ), vi fece passare la catenella semitesa del tappo di gomma.
 Il tappo si sollevò dopo aver posto una breve ma intensa resistenza, per il peso dell‘acqua.
 E finalmente sorrise porgendo l’orecchio attento al gorgoglio pacato e costante del liquido che s’incanalava composto nel tubo di scarico.
  Tra breve, abbassandosi il livello schiumoso, sarebbero riapparsi il seno il ventre il pube.
 Calando il livello con crescente velocità e diminuendo sempre più il volume, l’acqua riusciva sempre più celermente guadagnarsi la via di fuga.
 Le piccole fessure avevano lasciato posto a due occhi attenti ed ammiccanti.
 Tra poco sarebbe riapparso il suo corpo anche se ancora a brandelli per il depositarsi sopra ad esso, a chiazze, qua e là della schiuma.
 Una spruzzata veloce della doccia lo avrebbe restituito nella sua interezza.
  Con finta noncuranza buttò lo sguardo dove oramai ogni dubbio sarebbe stato dissolto.
 Lo sguardo però rimase sospeso all’altezza di uno spessore che non esisteva più. Nella vasca c’era soltanto schiuma. Schiuma a chiazze.
 Schiuma qua e là sparsa e statica che non premeva più all’imboccatura dello scarico.