Che belle mani ho, che belle mani
dita affusolate di razza
le caccerei in gola per poter urlare.
Gambe lunghe vorrei, fatte per correre
gambe lunghe vorrei. Mi spaventa
starmi vicina.
Occhi limpidi di mare, dicono
occhi che guardano lontano
con un cannocchiale rovesciato.
Sei tu la mia isola?
Hai forato le mie pupille
con spilli di dolore.
Urlare come una sirena d’allarme
per far sentire il pericolo di
un crollo di nervi.
Urlare come una sirena di cantiere
prima dell’uscita dai ranghi di
una persona “ per bene “.
Urlare la mia voce al megafono
a folle spietate che delirando chiedono
l’universalità del banale.
Urlare fino a farmi esplodere le vene del collo
che regge una testa pensante
e spiare l’uscita del nulla della morte.
Non controllo più questa dannata rabbia.
C’
e
ts
u
n
e
b
o
m
be
Bom
Ba a
nco
ra inesplo
sa curiosa rim
ira la miccia innesca
ta. Da molto compressa,
S’ appresta a colpire bersa
glio per farlo saltare. Non è
timorosa di andare nell’urto,
in mille frantumi ma odia fer
ire con scheggia volante,
ignaro passante con
fissa dimora.
Controllare l’azione, contenerla.
O … scoppiare?
Esplodere deflagrare sbriciolarsi e sbriciolare?
Diritto di amare e rispetto al diritto di non saper amare.
Rispetto da far rispettare e follia da decantare. Non
da mascherare.
Amare l’amore e amare amare amare: lei lui
lui lei e loro e tutto e tutti e soffrire stupide
pene d’amore.
Stupide sciocche e vitali e trite pene.
Fantasticare e
cadere.
Guardare la realtà e non indietreggiare. Viversi
e vivere accettando l’errore.
Riderne.
Odiare l’errore
Sfruttare l’errore
Elaborare l’errore.
Superare l’errore e , roteando il capo all’indietro,
riflettere l’errore e
Camminare camminare camminare. Anzi:
saltare saltapicchiare ruzzolare capriolare e far gesto,
sfiorando una mano il mento,
di ricominciare.
Butto a terra stampelle bugiarde
gambe che sembrano mille
Si muovono
e non cadono
e sono le mie!
Ho versato solvente che non si compra
su palpebre appiccicate.
Vedo.
Moderna Giano,
alle spalle rancore
di fronte maniche rimboccate
su braccia di lotta:
La mia vittoria.
Ehi bambola, bambola bella, guarda!
Cavalli di vento galoppan sudore
hai capelli di seta
e la spiaggia trascorsa
è un eterno nastro di clessidra.
Muovi passi a pila
mentre vesto criniera di fuga
e la tua pelle di bugia
non salta più in alto di un ieri.
Una voce stampata
ha chiamato insensibile
a insensibile ascolto.
Non mi sono voltata
ma vado ancor oggi cercando un domani.
Dimmi bimba,
bimba nuova che voglio capire
qual regalo vorrai per Natale?
Una bambola?
Una bambola bella che guarda e non vede
da poter abbracciare?
Bestia oscura ed antica son’io
e strana
ed anche futura.
Bestia antica che vaga per spazio e
per tempo dove tempo
e lo spazio non han nulla ragione.
Mammifero forse.
Mammifero certo! Con corpo di donna
con viso di donna e mente di madre.
Con corpo di madre. Ma non figlia.
né madre: le mie nove lune le ho rifiutate.
Le sacre
e sacrileghe lune, decreto mutante
di chi ama la sorte.
E m’offende la legge e la sua condizione
per tutti quegli anni che arrivano
all’ora del mio divenire: bestia oscura
e siderea e strana
e pur’anche futura.
Così vago per spazio e per tempo
ché nell’oggi hanno il loro valore.
Ma chi sei tu dunque Giove, al cospetto
del mio contrastare.
La superbia di un dio scompare al levar di
superbia terrena: le mie nove lune io le ho
rifiutate.
E con scelta mi scoppia la testa
e con vaglio mi esplode ragione.
Senza filtro di vane illusioni io ti guardo
O Minerva, con occhi assai chiari
né son spinta da ataviche norme
né son succube a grida di parto.
Tu mi scruti e con giovane attesa,
così, porgi le palme pulite.
Io le ammiro
e le bacio. E non odo rancore.
Non c’è palio o tenzone
né a giocar coll’altrui vita mi porta
quella via che mi ostino a segnare.
Mi segui, mi guardi, mi vedi?
Ti penso, ti cerco, “ mi rido ”.
Voli della mente facilmente salgono
toccano cime inesplorate
dondolano
fluttuano
Si rincorrono veloci e stupidi. Poi
tutt’a un tratto guardano in basso
e precipitando
rovinano al duro suolo della realtà.
Inquieta trama mi tessi
con pelle e paura di morte.
Io la guardo
e non vedo che colpi di fuso nel ventre;
ma non m’addormento.
Devo ancora capire.
Sarà dopo, un letargo - rifugio o coscienza del mio banale?
Eppure, a barriera concreta, o mio ignaro Sansone,
sta radice seccata di linfa
che solo una fonte potrà sì disseccare..
E non sono io la tua Dalila, cerca altrove;
più in là no, più in fondo.
So.
So d’esser ottima lente se avrai istinto, se avrò fortuna.
“Hai occhi belli” m’hai detto.
Ti faranno vedere il giusto colore: non l’ingenuo ed
incerto rosa né il mortifero nero. Ma il rosso.
Il rosso carnale di vita.
So.
So che vale la pena.
T’ho invitato a credere.
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