PROSA

TESI
LA BAMBINA DAI CAPELLI ROSSI CALURA
L'AMNESIA
SEGUENDO LA SCOMPOSTA ONDA DEL PENSIERO
A QUALSIASI COSTO
LA MELA TAGLIATA A META’
DEDICATO

POESIE

 

 

DEDICATO

Il vociare confuso e discontinuo si era elevato di numerosi toni con l’accrescere dell’attesa.
 Il brusio che ne derivava era quello tipico dei grandi assembramenti in luogo chiuso e nasceva dalla presenza, prima di tre, venti, cento persone eppoi da mille, duemila e più, accomunate, se non altro dalla finalità e dal gusto ma che forse, ad una maggiore ed attenta analisi, sarebbero tuttavia risultate dissimili.
 Lo spettacolo si poteva supporre oltremodo interessante: l’addomesticamento di una pulce nelle sue varie e molteplici espressioni non era certo condizione quotidiana.
 Nelle file di sedie di plastica stampata, digradanti verso la pista centrale, emergevano proprio alla distanza, le vesti rosse mentre quelle di altro colore si sposavano confondendosi in un insignificante uniformità.
 La pista composta di sabbia sottilissima era stata coperta per l’occasione da una pedana compatta che aveva l’aspetto di un tamburello gigante, affinchè non si corresse il rischio di perdere nella grana fine e polverosa o in qualsivoglia fenditura, l’insetto raro e per questo motivo, prezioso.
 Il rumore dell’attesa ebbe all’improvviso un attimo di sospensione quando, dal colmo del telone forgiato ad imbuto, venne fatta scendere con solide carrucole, una spessa lente che avrebbe permesso ad ogni spettatore, anche il più distante, di godere lo spettacolo dopo esserselo immaginato fino a quel momento, attingendo alla personale fantasia.
 La lente era spessa ed anche speciale come non se ne erano mai viste né si vedranno mai.
-”Senz’altro forgiata per l’occasione”- ebbe a dire qualcuno che si era avvicinato curioso.
 Il duplice requisito che in altre occasioni era sempre dissimile: ingrandire cioè da un verso e rimpicciolire dall’altro a seconda di dove si appoggiasse lo sguardo era, in questo preciso contesto, uniformato.
 Per rendere in tale modo visibile l’insetto da ogni ordine di posti ( fosse stato occupato fortunosamente dai primi arrivati  o per disavventura dai ritardatari) e affinchè la pulce stessa  vedesse  la figura della sua domatrice notevolmente ingigantita (se ce ne fosse stato bisogno ) da subirne tutto il fascino e la soggezione possibili.
 Il tradizionale e per anche scontato rullio di tamburi zittì tutte le considerazioni e le opinioni espresse sul sistema adottato che erano a tratti favorevoli seguite e superate, nell’immediato, da quelle contrastanti.
 Si creò quindi un silenzio che proprio perché conseguente allo sconnesso esternare pareri, aveva creato uno stato d’attesa e di raccoglimento.
 Senz’altro aveva contribuito al mutamento d’atmosfera lo spegnersi generale delle luci che fino a quel momento avevano  invaso l’aria, per dare posto immediatamente ad un cuneo luminoso che era tanto intenso da sembrare compatto e quasi tangibile. E  tanta era la sua forza  e la sua potenza  che, nel trapassare l’aria per metri e metri, non dilatava  il suo raggio che di poco.
 Il riflettore ( perchè di questo si trattava ) si era soffermato sulla fenditura della tenda che di lì a poco sarebbe stata spostata per lasciar passare l’ideatrice del numero tanto atteso.
 La studiata pausa non superò  né fu più breve del dovuto e fu esaltata e sottolineata da un rinnovato rullo di tamburi che alfine esplosero all’ingresso trionfale.
 La domatrice era avvolta in uno sfavillante mantello che con gesto calibrato roteò, disegnando un’elisse nell’aria oramai densa di fiati e di respiri affannosi per la tensione, facendo emergere un corpo imponente che contrastava in modo provocatorio con la minuscola gabbia tenuta stretta nella mano sinistra.
 Il suo passo inspiegabilmente ambiguo, era una strana combinazione tra una marcia da parata ed il volteggiare leggiadro di una ballerina di punta e tutto ciò sconcertava. E non poco. Esaltando maggiormente  la curiosità di cui era pregnante l’attesa.
 Due sopracciglia scure, increspate nell’incedere volubile, davano alla donna un aspetto oltremodo violento per quanto i suoi tratti fossero misurati e distinti.
 Si fermò ella al centro della pista sulla quale pendeva, appena sopra la sua testa, l’enorme lente e, appoggiata a terra la gabbia, ne aprì l’invisibile porta estraendo, nel frattempo da una tasca del costume di scena, un qualcosa che appoggiò a terra, facendo capire a gesti, si trattasse di uno sgabello.
 Accennando, subito dopo, alcuni balzi all’indietro con abilità sfrondata da incertezze, ordinò con gesto perentorio delle due mani, venisse calata ulteriormente la lente sulla gabbia che in tal modo divenne via via sempre più visibile da tutte le file di tutti gli ordini, dilatandosi.
 Il silenzio così spesso da potersi toccare, fu squarciato da un “ Ohhh!”collettivo
quando, per esortazione e comando, la pulce cominciò ad uscire.
 Si trascinava dietro essa le zampette e l’ampio mantello identico a quello della sua maestra e padrona. La sua aria tutt’altro che ridente mutò all’istante quando trovò essa , sulla soglia della gabbia, e non per la raggiunta collocazione bensì per l’ombra disegnata in tanta luce accecante, della frusta che dalla cintura era passata alla mano della domatrice e che si muoveva con la sinuosità di una serpe.
 L’insetto, il muso lucido ( e non si capiva se per il troppo calore o per la tensione della parte che le spettava ), sfoderò un sorriso spropositato che gli rimase stampato per tutto il tempo dello spettacolo, come un crampo.
 La sciabola luminosa del riflettore fu sostituita da una serie di lampadine disposte in circolo sulla pedana che, togliendo in questo modo la drammaticità dell’immagine e della situazione, creava tuttavia ombre spettrali e fantastiche.
 Gli occhi della domatrice si erano fatti più profondi e cupi, quasi da non leggerli eppure la pulce, forse per intuizione assillata, fece un preciso balzo sullo sgabello che, seppur minuscolo, era tuttavia proporzionato a contenere i suoi volteggi, le sue capriole e le sue evoluzioni.
 Ci fu però un sussulto totale perché per la tensione, la pulce era a malapena riuscita ad attaccarsi con le zampette anteriori al bordo dello sgabello. E soltanto per la sua innata mobilità, superò l’ostacolo.
 Non però lo stato d’animo.
 Sapeva bene essa come poteva essere inteso un suo errore dall’imponente figura la cui impercettibile vibrazione, dilatata dalla lente, si traduceva per essa in un terremoto sussultorio.
 Ma con grande professionismo e padronanza della scena, la domatrice s’inchinò più volte mentre roteava la figura, rivolgendola  di seguito ad una parte all’altra del pubblico che esordì unanime in uno scrosciante applauso d’assenso.
 Ma per chi? Per la domatrice a sottolineare l’irresponsabilità  dell’errore? O alla pulce per comprensione dell’anacronismo.
 E è questo che si chiedeva la pulce.
 La domatrice si crogiolava invece nella certezza.
 E si rivolse ben disposta al centro della pista, con voce gutturale, esprimendo un comando simile a quello degli addestratori di cani da guardia; forse in tedesco, visto l’incomprensibilità del termine.
 Non però per la pulce che, accentrate tutte le sue forze e capacità nelle zampette posteriori , si caricò all’inverosimile per esplodere poi in un quadruplo salto mortale all’indietro che venne sottolineato furbescamente dal tamburo percosso con ritmo accelerato e compatto da sembrare ininterrotto.
 L’esercizio risultò superbo e privo della benchè minima incertezza tanto da far esplodere uno scrosciare d’applausi tali da far balenare negli occhi della domatrice, lampi di prestigio incontrollato.
 La pulce, nel frattempo, esausta per lo sforzo compiuto, non riusciva a beneficare della lode appena elargitale, anche perché sospettosa sulle finalità  e sul vero indirizzo.
 Ma oramai sapeva bene che il suo solo obiettivo doveva essere quello di non contrariare colei dalla quale dipendeva ogni sua azione e che se ne stava vistosamente  e senza pudore, crogiolandosi nell’eco degli applausi, pensando  con veemenza come fare per provocarne ulteriormente.
 La soluzione era davvero semplice visto che sarebbe bastato ripetere la dinamica dalla quale erano scaturiti.
 Si rivolse quindi nuovamente al centro della pista questa volta con aria lievemente diabolica e con voce alterata, ribadì il comando.
 La pulce, non ancora riavutasi, fece uno sforzo smisurato ma non riuscì che a fare un triplo salto mortale in avanti.
 La domatrice che era sul punto di digrignare i denti per il disappunto, si trovò sommersa da un nuovo fragoroso applauso  che trasformò in un attimo  la contrarietà in beatitudine.
 Non essendo però ancora paga delle emozioni appena gustate e condizionata oramai dalle sensazioni che da esse ne scaturivano, s’inchinò rapida al pubblico e altrettanto velocemente ripetè imperiosa il comando alla pulce.
 La pulce, letta la veemenza dello sguardo, impaurita, si preparò a replicare pur sapendo di non essere oramai in grado di  mantenere  questi ritmi che non erano certo quelli delle numerose, seppur estenuanti prove sostenute.
 E lo sapeva anche la domatrice che, esaltata dalla ricerca del suo appagamento, non riusciva più a prendere le distanze dalla situazione né tanto meno da se stessa.
 L’insetto, il sorriso contratto alla mascella , si caricò tuttavia  con gesto estremo e volteggiando nell’aria, riuscì a disegnare a malapena un patetico semicerchio, cadendo fragorosamente ( per le sue orecchie, ben s’intende ) sullo sgabello che ebbe qualche vibrazione, ma non cedette.
 Questa volta, una fragorosa risata simile ad un boato unì le mille e mille bocche degli spettatori facendo nascere nella donna un’ira che cresceva e cresceva come aumentava l’intensità e la foga dello scherno generale , innescando in questo modo quel cieco furore che come scoppio a catena, gonfiava il petto della domatrice.
 E anche se con  immane sforzo lei cercasse di contenere la sua rabbia questa, indomita, cresceva aumentando il volume del suo corpo che  invano tentava di contenerla. Cominciò   per questa ragione a mutare di forma e dimensione in maniera così rapida e travolgente che non si riusciva più a ricondurre la nuova immagine che si proponeva ora alla vista, a quella che l‘aveva preceduta.
 Il pubblico, divenuto muto ed incredulo alla visione della nuova ed inaspettata esibizione osservava  il volume di quel corpo decuplicare con incalzante rapidità.
 Oramai la pelle divenuta  per la  troppa tensione, tanto trasparente da far scorgere il contenuto del suo interno  che ora volteggiava impaurito, senza più nessun confine, in spazi a lui, fino ad allora sconosciuti.
 Poi, persa ogni possibile elasticità, scoppiò  con un boato, proiettando brandelli in ogni dove.
 La pulce che nel suo sfinimento tuttavia aveva seguito incredula la scena dilatata dalla presenza della  lente, sbattè incredula gli occhi e quando un frammento di sopracciglio ancora corrugato  della sua carceriera cadendo, le si appiccicò  addosso investendola, cominciò a piangere silenziosamente.